Filodivino non crea sogni astratti, ma concrete emozioni.
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Verdicchio e Lacrima
La storia della viticoltura marchigiana ha due vitigni, che da tempo immemore la raccontano, la rivelano, la celebrano: Verdicchio e Lacrima.
Filodivino, da questi due soli vitigni produce sei vini diversi. Due vini rossi doc: La Lacrima di Morro d’Alba, Diana e la Lacrima di Morro d’Alba Superiore Soara; tre Verdicchi Classici dei Castelli di Jesi DOC e un Castelli di Jesi Verdicchio Classico Riserva DOCG.
Il Verdicchio, da sempre considerato autoctono delle Marche, ha una storia antica e piena di mistero. Se ne ha una prima testimonianza nel 410 d.C. quando pare che Alarico il re dei Visigoti abbia fatto incetta di un vino che dava agli uomini “sanitatem et vigorem bellico” passando nella zona dei castelli di Jesi.
L’analisi ampelogica data l’altissima percentuale di coincidenza con il DNA del Trebbiano di Soave o di Lugana, ha invece supposto, che il vitigno venne portato dai contadini lombardo-veneti, insistentemente invitati dai signori locali a ripopolare le campagne marchigiane, rese quasi deserte dalle epidemie di peste, che devastarono la zona tra metà ‘300 e fine ‘400.
In ogni caso il Verdicchio, una volta trovata l’attuale dimora, al di là di qualsiasi provenienza, ha mostrato una assoluta capacità di adattamento alla zona, perdendo alcuni tratti dei fratelli gemelli del nord, per affermare caratteri di peculiare unicità. Perché la morfologia del terreno, l’esposizione solare, la temperatura di giorno e di notte, l’equidistanza dai monti come dal mare, i venti, e tutto quello che possiamo riassumere con la parola italiana Ambiente e quella francese Terroir, hanno fatto nel corso dei secoli la differenza. Le uve si sono dimostrate adatte a produrre vini sia da bere giovani e freschi, che da invecchiamento, sia fermi che spumantizzati, e persino passiti.
Il Verdicchio è orgogliosamente verdicchio. Il resto non importa.
La DOC venne istituita nel 1968, ed all’interno del disciplinare è identificata una sottozona, detta classica, alla destra del fiume Misa di cui San Marcello fa parte.
La Lacrima invece ha origini storicamente certe ancora più remote. Infatti esistono documenti che attestano la sua esistenza fin dal 1167, quando gli abitanti di Morro d’Alba furono obbligati a consegnare, notevoli quantità del vino prodotto dal vitigno Lacrima, a Federico Barbarossa. L’imperatore, mentre cingeva d’assedio Ancona, scelse come luogo per il proprio accampamento la città fortificata di Morro d’Alba e pretese dagli abitanti diverse vettovaglie per soddisfare i suoi bisogni e quelli dell’esercito.
Il vitigno pur avendo una buccia spessa e ricca di polifenoli, è allo stesso tempo incredibilmente delicata, così da spaccarsi e permettere la fuoriuscita del liquido interno alla polpa in caso di eccessive piogge. Osservando gli acini in fase di maturazione, sembra che piangano lacrime. Ecco spiegata l’origine del nome. Il vitigno, una volta diffuso in tutte le Marche e anche in altre regioni limitrofe, proprio per questa delicatezza e difficoltà di gestione in fase di maturazione, del germogliamento precoce, che espone le gemme al rischio di gelate tardive, e delle basse rese produttive, venne pian piano espiantato e sostituito con altri ceppi meno nobili, ma più redditizi quantitativamente. Solo nel 1985, grazie allo sforzo di alcuni viticoltori locali, la Lacrima ha avuto il riconoscimento di DOC e da pochi ettari iniziali si è arrivati attorno ai 250 attuali, che comunque ne fanno un vino a produzione assai limitata. Dal bellissimo colore rubino con riflessi violacei, e intensamente profumato di petali di rosa rossa, violetta e frutti di bosco, la Lacrima, per l’unicità dei suoi profumi e per il rigore al palato, sta tornando ai fasti, che la resero celebre fin dal basso medioevo.